giovedì 3 aprile 2008

Un morso al posto di un... sorso

La sua presenza nella dispensa di casa o nello zainetto, anche solo come riserva, è scontata!!! Ai bimbi e ai ragazzi semplicemente piace, molti genitori ritengono che possa essere nutriente, oltrechè dissetante (—…almeno così mio figlio —beve“ un po‘ di frutta…“). E così almeno un bambino su due beve uno o più succhi di frutta al giorno, o almeno quelle bevande che pensiamo siano succo.

Infatti, se leggiamo l’etichetta e consideriamo il contenuto di uno di questi brik, scopriamo subito che, oltre i nomi di fantasia, si distinguono bevande con diverse denominazioni corrispondenti a ciò che la legge prevede per i produttori, e utile riferimento anche per i consumatori consapevoli. Ad esempio:
  • il succo di frutta è il prodotto costituito da succo di frutta al 100%. Senza trucco e senza inganno, può chiamarsi così anche il prodotto ricostituito con acqua e aromi da succo di frutta concentrato, base della maggior parte dei succhi. Anche se dichiarati senza zucchero, né contengono molto più di un frutto!!
  • il nettare di frutta contiene meno frutta dei succhi: la legge richiede un minimo del 25% per le banane e il 50% per pere e mele. Alla frutta sono così aggiunti acqua, zuccheri e gli additivi. La denominazione —succo e polpa“ , che spesso compare sulle etichette dei nettari, per quanto evocativa (e anche —nettare“ evoca alquanto…) sta solo a significare che il prodotto deriva da purea di frutta, cioè quanto ottenuto setacciando la parte commestibile dei frutti, succo compreso.
    I succhi possono contenere zucchero (in genere fino a un massimo del 10%), ma i nettari ne possono contenere in quantità maggiore (fino al 20%), presentando un apporto calorico non trascurabile e un minore contenuto di vitamine e minerali rispetto ai succhi. Entrambe queste tipologie non possono contenere coloranti né conservanti in genere, con l‘eccezione di alcuni additivi consentiti, acidificanti e antiossidanti peraltro guardati con poco sospetto, trattandosi di sostanze che, per quanti di sintesi, sono di norma già presenti nella frutta fresca.
  • le bibite o bevande —alla frutta“ o —a base di succo di frutta“ devono contenere almeno il 12 per cento! Il resto è acqua, zucchero, anidride carbonica per le bollicine, aromi, e, queste sì, coloranti, conservanti. Provate a diluire a questi livelli la spremuta fatta in casa: di cosa sa? Queste bevande sono un concentrato di calorie: pensate che in un bicchiere da 200 ml di —aranciata“ (così come nelle bibite alla cola) c‘è l‘equivalente di 3-4 bustine di zucchero… In commercio esistono poi —bevande alla frutta“ che contengono percentuali più alte (anche 80%) di frutta, ma zeppe di aromi, conservanti o coloranti.
  • Infine le bevande al gusto di… contengono una quantità di frutta inferiore al 12 per cento, e a ricordarne la presenza… virtuale, sono rimasti di solito esclusivamente l‘aroma e il colore. Sono le bibite —Orange“ o —Lemon“ cioè al gusto di… e basta.
E allora?

Noi suggeriamo di limitare il consumo di questi prodotti, sostituendoli con spremute o veri succhi di frutta (occhio all‘etichetta!). Ma succhi o (peggio) bevande a base di frutta non possono e non devono sostituire la frutta fresca, né sostituire l‘acqua in occasione degli spuntini del mattino o del pomeriggio.

La quantità di zuccheri che contengono corrisponde a più della metà dello zucchero che dovremmo consumare in un giorno, cosicchè, per non esagerare, dovremmo ridurre il consumo di altri alimenti zuccherati. Oltre a ciò, senza parlare di additivi o aromi, gli zuccheri aggiunti tendono a modificare la percezione del gusto dei bambini, abituandoli a sapori omogeneizzati e aumentandone sempre più il desiderio smodato di dolci, con le conseguenze che facilmente possiamo immaginare (e molti di noi sperimentano a casa…).

Se si aggiunge poi che delle vitamine originarie nei —succhi“ resta il 20-30%, si comprende come vada incoraggiato in tutti i modi il consumo di frutta fresca di stagione -da parte dei nostri ragazzi, proponendola con un… sano esercizio di fantasia (macedonie, frullati, spremute, frutta secca, frutta con la buccia, senza…).

Cecilia Savonitto, Aldo Savoia
Dipartimento di prevenzione
ASS n°4"Medio Friuli"

mercoledì 2 aprile 2008

Ma perché i bambini hanno tanta paura di farsi male…

I bambini hanno paura di farsi male perché noi adulti abbiamo paura che si facciano male. Potrebbe sembrare una considerazione banale, ma se prestiamo attenzione alle nostre parole scopriamo che i bambini vengono avvertiti, minacciati, pregati di non farsi male.

I genitori hanno figli sempre più frequentemente non in giovane età e, se da un lato questo potrebbe corrispondere ad una loro maggiore maturità, dall’altro è spesso causa di un’aumentata fragilità.

I bambini sono diventati un grande “investimento” da proteggere sin prima della nascita. I molti, talvolta troppi, esami fatti durante la gravidanza inducono pensieri di perfezione, di sacralità; il bambino che nasce è così un bellissimo bicchiere di cristallo che va tutelato entro i limiti massimi delle nostre possibilità. Preveniamo le sue, e nostre sofferenze, lo mettiamo in guardia continuamente: “stai attento che ti fai male”, “non toccare che è pericoloso”, “faccio io che tu ti puoi far male”, “ecco, vedi…te l’avevo detto che ti saresti fatto male !!” . Accade così che la prima e più frequente reazione dell’adulto di fronte a una caduta del bambino, a un ginocchio sbucciato, a una piccola ferita, sia quella del rimprovero e, successivamente, quella della negazione del dolore stesso del bambino “su, su che non ti sei fatto niente!!”, o dell’eccessiva consolazione.

I nostri timori impediscono quindi al bambino di fare quelle esperienze spontanee, che possono aiutarlo a misurare la coordinazione del suo corpo, e a conoscere le sue potenzialità istintive di guardarsi dai pericoli, e quelle di gestione del dolore. Correre scalzi su un prato, salire su un albero, fare la lotta con un amico, mordere per poi baciare, e tanto altro, sono diventate attività proibite. Il bambino allora deve imprigionare la sua vitalità, la sua energia in attività strutturate e permesse dagli adulti, in luoghi sicuri che tutelano i timori degli adulti e dove, spesso, una delle regole madri è: “Non ci si deve e non si deve far del male”.

A questo proposito non è inusuale, anche quando i piccoli sono all’Asilo Nido, che tra genitori ci sia uno scambio di rimproveri quando il figlio dell’uno ha fatto male al figlio dell’altro. E i bambini ascoltano e imparano a vivere il proprio corpo come oggetto prezioso, intoccabile, da proteggere per salvaguardare non solo e non tanto la loro serenità, ma quella di mamma e papà.

Accade così che il bambino teme la possibilità di farsi del male sia perché sempre più spesso il dolore è uno sconosciuto, sia perché sa che potrebbe incorrere nel rimprovero dell’adulto o, peggio ancora, di poter essere responsabile della sofferenza dell’adulto. La frase: “Che paura mi hai fatto prendere !!, non ti rendi conto che avresti potuto farti del male !! “, esce spontanea ed è sollievo e minaccia. I bambini hanno bisogno di noi, hanno bisogno di sentirci sereni, soddisfatti della loro esistenza: la preoccupazione di procurarci sofferenza è grande e va evitata.

E così le nostre paure, l’ irritazione che proviamo per chi è causa di queste o del nostro dolore, la sempre più scarsa capacità di tollerare il dolore dei bambini e di consolarli, unite alla scarsa esperienza del dolore fisico, rende i bambini preoccupati, talvolta angosciati, rispetto all’ incolumità fisica del proprio corpo.

Raffaella Pagani
Psicologa
Consultorio familiare del Distretto di Udine
ASS n°4”Medio Friuli”